ACCADEMIA DEL CINEMA ITALIANO
PREMI DAVID DI DONATELLO

PERCHè DOVRESTE VOTARCI !?

Uno spazio dove produttori, autori, registi, attori e tecnici tutti possono sponsorizzare il lavoro svolto nella realizzazione di un film in concorso ai Premi David di Donatello 2017.
L'importante è che lo facciano con garbo ed ironia.

Inviare una mail a: webmaster@daviddidonatello.it

WAX: WE ARE THE X
regista esordiente Lorenzo CORVINO

Gentilissimi Giurati,
Vi vogliamo ringraziare per la candidatura con un messaggio un po' particolare che ci auguriamo vi diverta anche e soprattutto, e invitarvi a continuare a sostenere il nostro film in questa fase finale.
Un abbraccio grande grande!
Lo Staff di WAX





Crazy for Football
the craziest world cup
regia di Volfango De Biasi

Crazy for Football è un avventura sportiva e umana. Uno psichiatra, un ex campione del mondo di Boxe e un allenatore di serie A di calcetto hanno un sogno: costituire la prima nazionale italiana di calcio per pazienti psichiatrici. Dodici ragazzi da tutti i centri di salute mentale italiani vengono selezionati e allenati con l'obiettivo di partecipare al primo mondiale di categoria che si svolge a Osaka in Giappone. Crazy for Football è la loro storia. Dal primo incontro alle finali a Osaka. Passando per le loro storie umane, per la difficoltà di diventare squadra, per i benefici avuti sulla loro salute dalla pratica sportiva.
 Ho deciso di girare questo documentario perché volevo contribuire alla causa di questo movimento che sta cercando di trovare uno spazio ufficiale in Italia e nel mondo per dare una possibilità ai tanti che soffrono di emarginazione e sono stigmatizzati di far sentire la loro voce ed avere delle alternative. Chiaramente la storia è raccontata a modo mio, evitando il pietismo o la colpevolizzazione. Credo si possa parlare di cose importanti anche sorridendo o emozionandosi con leggerezza. È una storia di sport e di amicizia, popolare, il cui scopo è quella di essere vista da più persone possibile. Perché vedere e conoscere avvicina le persone. Quello che spero è che il film serva a dare una mano concreta al loro e al nostro sogno affinché si possa realizzare.

Buongiorno,
sono l’autore del monologo sul Mobbing che ha ispirato la realizzazione del Cortometraggio “Oltre lo specchio”, in finale al Vostro prestigioso concorso.
Per forza di cose, devo affrontare l’opera sotto due punti di vista, che comunque sono complementari e coincidono perfettamente sull’espressione del mio positivo e favorevole giudizio per il lavoro che è stato fatto in modo da giungere ad un ottimo prodotto finale.

In primo luogo parlo come autore, avendo ben saldi in mente i ricordi legati alla lavorazione del Cortometraggio “Oltre lo specchio”. Il cast era composto da professionisti del mondo televisivo e cinematografico, come i registi Daniele Ceccarini e Mario Molinari, come l’attore Matteo Taranto, il cui ultimo film girato è “La Macchinazione”, sulla vita e morte del grande Pier Paolo Pasolini, come Alessandro e Paolo Logli, quest’ultimo con un’esperienza trentennale nel mondo della Rai, del teatro, del cinema, e comunque il cast al completo che ha dato il meglio di se. Ho partecipato alle riprese – la mia prima volta –, e riconosco che di meglio non si poteva fare. Le scene sono state girate finché i registi e gli sceneggiatori non erano soddisfatti del risultato, e questo ha fatto sì che il prodotto finito fosse di alta qualità. Dal punto di vista dello spettatore, sebbene abbia partecipato alle fasi di realizzazione, ho sperimentato per la prima volta il passaggio dal lavoro “grezzo” al lavoro finito. L’esperienza è stata indimenticabile. “Oltre lo specchio”, come spettatore a mia volta mobbizzato e vessato da un’amministrazione pubblica, mi ha procurato un leggero stato di nervosismo tanta era la pellicola aderente alla realtà che avevo vissuto. L’attore protagonista Matteo Taranto ha trasmesso esattamente – ciò che si può fare in quindici minuti – i disturbi che ho patito, come ad esempio quello del sonno, aspetto molto grave in una persona che si porta appresso per anni e anni un disturbo ansioso-depressivo cronico e grave. Non dormire, la notte, e dormire molto male, ti portano al mattino in una condizione tale che, almeno pe me, procura serie difficoltà nella spiegazione al medico di come ci si sente in quei momenti. Anche dal punto di vista tecnico, “Oltre lo specchio” ha molti meriti. Ad esempio il primissimo piano del volto della capa del signor Rossi, quando lo rimprovera aspramente perché gli ha fatto notare un errore in un contratto e un errore di sintassi nelle sue parole: un volto deformato, che parla, parla, come una “macchinetta”. Oppure la fantastica trovata dell’interlocutore di Rossi, al quale il mobbizzato racconta tutto ciò che gli accade, ma che alla fine risulta essere un criceto. E dulcis in fundu, il finale, quando il protagonista apre la gabbia del criceto per farlo uscire. L’animale esce, ma fa subito ritorno all’interno della gabbia, dove certamente si trova più al sicuro. Ma questi due esempi non sono certamente esaustivi per spiegare e mettere in mostra le qualità di “Oltre lo specchio”.
Da evidenziare, fatto di notevole importanza, l’argomento “innovativo” trattato dal Cortometraggio “Oltre lo specchio”: il Mobbing. Questa subdolo atteggiamento praticato normalmente dai capi, molte volte anche dai colleghi – come nel caso specifico –, molto spesso è costruito artatamente con piccoli atti apparentemente leciti, ma che nel loro complesso risultano illeciti, ha lo scopo precipuo di isolare e allontanare dal lavoro qualcuno, che ha diversi modi di reazione, e quindi diversi modi di uscita dall’ambito lavorativo, il più grave dei quali è il suicidio. Togliendosi la vita si finisce di soffrire. Nella sua drammatica e tragica semplicità questa frase racchiude un mondo, il mondo debole e quindi esposto alle più vili bassezze, che portano un essere umano al forte e determinante senso di colpa che solo la morte può far terminare.
In conclusione, “Oltre lo specchio” rappresenta l’umiliante persecuzione subita da sempre più lavoratori, ma anche, purtroppo, il mondo sommerso degli “ultimi”, che non trovano il coraggio di denunciare i soprusi cui sono sottoposti, quindi con anche il compito sociale di aiutare i mobbizzati, i vessati, gli abusati ad alzare la testa e additare i suoi aguzzini, denunciarli in sede giurisdizionale e anche in sede penale per il reato di “lesioni personali gravi”. Questa gente non ha alcun diritto di comandare una pubblica amministrazione, o farne parte, non ha il diritto di comandare aziende private o societarie, ma ha soltanto l’obbligo di essere emarginata dalla collettività con il marchio di !appestati”.

Alberto Bonfigli


QUESTI GIORNI
regia di Giuseppe PICCIONI

Devo ammettere che sono molto poco brava a raccattare voti. Questo è il cinema e non voglio mischiarlo con la politica. Mi viene molto più spontaneo e dal cuore, peró, consigliarvi di vedere il film "Questi giorni" di Giuseppe Piccioni, semplicemente perchè lui rappresenta "Il Cinema". Quel cinema là, che è arte e non intrattenimento. Quel cinema che ha qualcosa da dire, che brama di dire e non ha paura a farlo. Quel cinema che indaga, che vuole andare a fondo, al di là di ció che appare. È lui quel cinema, come pochi in Italia. E Giuseppe Piccioni con i suoi super poteri, riesce a farti sentire parte di questa magia, ma a delle condizioni: bisogna essere disposti a mettersi in gioco, a non cedere di fronte alle sue provocazioni, a non scegliere la lettura più ovvia o la via più semplice. Giuseppe 'sta magia l'ha fatta sudare a me, a Marta, a Maria, a Caterina, a tutta la troupe, e a tutto quel pubblico che è stato disposto ad immergersi senza paura nelle proprie emozioni. Quello che vi consiglio è quindi questo: in un giorno in cui vi sentite bene, in pace con voi stessi e con la vita, guardate "Questi giorni" e vi accorgerete che entrando nei cuori di queste quattro ragazze e del mondo che le circonda, improvvisamente sarete dentro di voi e troverete o ritroverete qualcosa di speciale. Buona visione, ma soprattutto buona vita.
Laura Adriani

VELOCE COME IL VENTO
regia di Matteo ROVERE


Dalle colline di Hollywood ai circuiti di “Veloce come il Vento”.
Intervista al Team di Vfx di ARTEA del Network R.A.I.N.

- Quante scene (shot) sono state lavorate per il film?
Circa 90, che comprendono automobili in 3D inserite in scene di gara riprese dal vivo, simulazioni 3D per il pubblico sulle tribune.
- Esattamente qual è stato il vostro sforzo?
Abbiamo lavorato per 4 mesi, cercando di creare effetti credibili per un film “non americano”. Mi spiego meglio, quando lavoriamo per gli USA non ci poniamo limiti sulla veridicità fisica ma si pone un accento maggiore sulla spettacolarità. In “Veloce come il vento” abbiamo lavorato a stretto contatto con Matteo (Rovere, il regista – ndr) per trovare un equilibrio di maggiore veridicità.
- Quali sono le sequenze di cui vi siete occupati che lo spettatore non immaginerebbe?
Saranno almeno una decina, tra cui abbiamo ricostruito ed inserito i bolidi che sfrecciano durante gare.
- Puoi descriverci una scena in particolare?
Ad un certo punto del film era necessario che una porsche GT3 durante un sorpasso dovesse entrare in testa coda, abbiamo ricostruito la macchina in 3D ed animata per ottenere quello richiesto da Matteo Rovere. A questa scena hanno lavorato 4 persone per circa un mese di lavoro. Abbiamo trackato la scena in 3D per avere i corretti movimenti di camera - la scena era un camera car pertanto in totale movimento -. Con la camera 3D ricostruita abbiamo inserito il modello 3D del bolide ed animata la dinamica del testacoda. Quando abbiamo avuto l’approvazione dell’animazione abbiamo sviluppato gli shader della macchina ed illuminato la scena. L’operazione è stata complessa in quanto nel liveaction pioveva e di conseguenza l’illuminazione ed il compositing dovevano tenere conto della pioggia e della luce alquanto particolare.
- Avete potuto mettere del vostro oppure avete dovuto seguire dettagliatamente le richieste del regista?
Il nostro lavoro consiste anche nel suggerire diversi punti di vista per rendere la scena più “visiva”. Investire tempo in fase di pre-produzione aiuta molto nella costruzione delle inquadrature. Lavorare con registi giovani, come Matteo Rovere, ci permette di esprimerci al meglio al pari di lavorare con le produzioni americane.
- Approposito di produzioni americane, ma come siete riusciti a lavorare con continuità con gli USA?
Cercando sempre di offrire la massima qualità e rispetto delle tempistiche. Andrea Marotti risiede a Los Angeles e fa da trait d’union tra i cliente e la produzione dei VFX che avviene qui in Italia.
- E’ difficile lavorare a Hollywood dall’Italia?
Discutiamo sempre su come migliorare il flusso di lavoro per ottimizzare i tempi e permettere al cliente di non sentire troppo le 9 ore di fuso orario che ci separano, in realtà questo gioca a nostro favore in quanto la nostra sera corrisponde alla loro mattina e il giro di preview diventa virtuoso.




La squadra di VELOCE COME IL VENTO

Regia di Matteo Rovere
Con Stefano Accorsi, Matilda De Angelis, Roberta Mattei, Paolo Graziosi, Lorenzo Gioielli

“Scrivere Veloce come il vento è stata un’esperienza rara per uno sceneggiatore italiano. Difficilmente capita un regista che ti sproni a scrivere un film sulle macchine, con tanto di drammaturgia delle gare, inseguimenti in strada e competizione finale clandestina. Ѐ stato un compito complesso e appassionante che ha richiesto molto studio e durante il quale abbiamo cercato di coniugare il cinema di genere e un’impostazione e una profondità dei personaggi di matrice più europea. Abbiamo cercato una struttura classica e dei personaggi contemporanei, abbiamo tentato in tutte le sue sfaccettature di coniugare anime all’apparenza conflittuali, ma alla fine non contraddittorie. Un viaggio bellissimo di cui siamo grati a Matteo e a tutti i reparti che lo hanno poi reso possibile”.

Filippo Gravino e Francesca Manieri - Sceneggiatori

 

Veloce come il Vento è un film tecnicamente ed esteticamente molto complesso. Rendere la spettacolarità di gare automobilistiche trovando un look d’impatto e coerente con la storia non era facile. L’altra complessità è stata la scelta dei mezzi tecnici più idonei a raccontare il mondo che c’è nel film. La fotografia di Veloce come il Vento merita di essere presa in considerazione per questo percorso di ricerca visiva e tecnica”.
Michele D'Attanasio – Direttore della Fotografia

 

“Lavorare su una sceneggiatura come quella di Veloce come il vento ha dato al reparto scenografia la possibilità di operare su uno degli aspetti più interessanti di questo mestiere: la presenza di una assenza.
Raccontare cioè, il precedente, l’accaduto. Quello che non si vede nel film, nella storia ma che di quella stessa storia è stato causa e motore. Il personaggio del padre, la sua casa, l’officina, il suo mestiere cosi amato da sfociare in una passione senza controllo, la prima parte di vita di Loris, la gloria sfiorata prima di entrare nel tunnel della miseria umana. Un rapporto da ricostruire su un’esperienza, quella delle corse e del relativo campionato, ma soprattutto su un luogo, quello del casale”.

Alessandro Vannucci – Scenografo

 

"Veloce come il vento ha una costruzione sonora molto complessa. Tutti gli agenti del reparto audio hanno lavorato di concerto per produrre gli elementi necessari alla realizzazione di questo film. Sono state effettuate molte ore di registrazione, sia durante le riprese che parallelamente al set, ciò è servito a creare una palette di suoni fatta interamente con materiale originale, cosa che ha garantito la coerenza sonora che contraddistingue il film. Per la prima volta quest'anno l’Accademia chiede di votare il miglior suono, inteso non solo come presa diretta, ma come espressione di un team di lavoro che vede il set e la post produzione essere un’unica entità. Veloce come il vento merita di essere preso in considerazione perché ha fatto propria questa filosofia sin dalle prime fasi della sua gestazione".

Reparto Suono

“La grande sfida di Veloce come il vento è stata quella di riuscire ad integrare le immagini girate durante le gare reali con quelle delle gare ricostruite, senza che lo spettatore avvertisse alcun tipo di discontinuità. Per farlo abbiamo dovuto studiare e sperimentare metodi di catalogazione per le oltre 48 ore di girato di sole gare, in modo da poterle utilizzare per narrare la storia della famiglia De Martino.
Proprio questa finalità ha comportato un’ulteriore difficoltà: cercare di non dimenticare mai la storia dei due fratelli  per non lasciarsi far prendere dai tecnicismi a discapito dell’aspetto umano.
Il nostro scopo durante le gare come nelle scene d'azione, era quindi quello di non perdere mai di credibilità. E questo significava per noi catapultare lo spettatore in auto con la testa ma soprattutto col cuore. Molte persone ci hanno rivelato di essersi sentite con Giulia e Loris dentro le auto mentre questi guidavano. Per quanto riguarda il montaggio sono convinto che questo sia dovuto proprio a questo approccio “umano” al lavoro. Volevamo che nelle gare ci si sentisse accanto ai nostri protagonisti non solo perché la macchina da presa era dentro l'auto ma perché da lì dentro li abbiamo visti sudare e piangere per le loro vittorie, perché nei loro occhi abbiamo colto il desiderio di rivincita e un passato fatto di errori. Insomma, le scene di gara dovevano essere delle occasioni in cui raccontare qualcosa di più sui nostri personaggi e non momenti di mero, se pur complicatissimo, virtuosismo tecnico”.

Gianni Vezzosi – Montatore

 

"Per la costruzione dei personaggi di Veloce come il Vento è stato fatto un intenso lavoro di squadra, specialmente tra il reparto costumi e quello trucco e parrucco.  
Ho iniziato da uno stimolante lavoro di ricerca e documentazione sul mondo della tossicodipendenza e su quello delle corse automobilistiche, cercando di coniugare in modo equilibrato il realismo di questi, all'identità complessa, affascinante e stravagante che hanno i due protagonisti (Loris e Giulia), e tutti gli altri personaggi che ruotano attorno a loro. Credo che questo sia stato ottenuto e spero che il lavoro fatto dal mio reparto abbia contribuito al successo del film".

Cristina Laparola – Costumista

 

"Dal punto di vista del trucco è stato un lavoro entusiasmante caratterizzare tutto il cast ed in particolar modo Stefano Accorsi, icona di stile ed eleganza, rendendolo un tossicodipendente dai denti sporchi e cariati, dal fisico provato ed evidentemente dimagrito, pieno di tatuaggi. È stato un lavoro lungo e meticoloso.
Ogni giorno occorrevano ore di preparazione per trasformare l'uomo che siamo abituati a vedere nel protagonista Loris De Martino. Una trasformazione radicale, attentamente studiata a 360 gradi insieme al regista Matteo Rovere e agli altri reparti artistici che rende Veloce come il vento un film meritevole e curato nei minimi dei dettagli”

Luca Mazzoccoli – Truccatore

 

 “La colonna sonora di Veloce come il vento è stata realizzata in gran parte utilizzando dei sintetizzatori modulari analogici e delle chitarre elettriche modificate. 
Il tema principale è suonato con un Wurlitzer del 1975. Un unico brano per orchestra d'archi accompagna la sequenza finale. Molte le canzoni, alle quali hanno collaborato tra gli altri i Velvet e Lara Martelli; e Matilda De Angelis, la giovane protagonista del film, che interpreta la canzone originale dei titoli di coda. La sperimentazione, le sonorità e l'interazione con gli effetti sonori del film sono il valore aggiunto di questo lavoro”.

Andrea Farri – Musiche

CINQUE MO(N)DI
documentario regia di Giancarlo Soldi


Un atto d'amore sul Cinema, per le nuove generazioni che non ne hanno memoria.

link su vimeo https://vimeo.com/183433839
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APPUNTI DI VIAGGIO
cortometraggio regia di Andrea Natale


Sono Chiara Ferrara (in arte Alba Kia), artista e insegnante. Vi scrivo queste righe in quanto coautrice del cortometraggio “Appunti di viaggio”, diretto da Andrea Natale, un regista, autore e produttore esecutivo, che ha lavorato per la televisione, mentre attualmente collabora con diversi team e produzioni cinematografiche.
Il film fa seguito ad una serie di opere in cui il regista ha mostrato originali variazioni sul tema della malattia, che si trasforma senza retorica in uno strumento di scoperta e rigenerazione: cecità, autismo, azzardopatia, narcolessia, ma non solo. Altre tematiche sociali, come la mafia, l’adozione, la guerra, hanno ispirato brevi filmati in cui spesso appaiono contaminazioni tra generi classici, sperimentali e il mondo dell’arte. Ogni inquadratura viene attentamente immaginata e studiata, io realizzo degli storyboard seguendo le indicazioni della regia utili a pianificare le riprese, in particolare per il D.O.P, che in questo caso era Francesco Giorgi. Le chiavi di lettura sono sempre molteplici.
Vorrei analizzare brevemente quest’opera ironica e al contempo carica di significati.
Giulio Neglia è Giovanni Del Bello, il protagonista di “Appunti di viaggio”, un famoso recensionista alberghiero che apparentemente è affetto da rupofobia, ovvero ha il terrore di entrare fisicamente in contatto con le altre persone. Ma chi è veramente Del Bello lo si scoprirà alla fine della visione. La parola “contatto”, nella vita di tutti i giorni, è diventata un richiamo implicito al fenomeno dei social network: reti basate su rapporti virtuali, che possono anche essere totalmente disconnessi dal mondo reale.
Le vicende sullo schermo si susseguono sulle note di “Albergo sognatori” del cantautore palermitano Salamone. Il personale dell’Hotel, ovvero Michele-Emanuele di Luca, il receptionista-Matteo Milani, la cameriera-Camilla Bianchini e il dipendente-Felice Capogrosso, viene messo a dura prova dal severo critico. Il giovane Direttore dell’albergo, interpretato da Edoardo Purgatori, ed il suo staff dimostrano di conoscere con una certa sicurezza l’uomo di chiara fama che ha deciso di fargli una visita “a sorpresa”. Ma l’apparenza il più delle volte inganna. Si rischia di credere a tutto, ciò che i nuovi media comunicano non è filtrato, le fonti sono ambigue o inesistenti, la linea di demarcazione tra realtà e fantasia non è mai stata così difficile da individuare, tanto da confondere talvolta anche coloro i quali l’informazione la fanno di mestiere. E dunque noi, come il personale dell’albergo, corriamo troppo spesso il rischio di rimanere incantati sul Web davanti alle notizie sull’ultimo Vip sfornato dall’ennesimo Talent Show televisivo, confondendo il falso con il vero. Il tutto è falso, il falso è tutto, come cantava Gaber in una delle canzoni del suo ultimo album. Una frase che oggi è più vera che mai e ci ricorda che bisogna sempre fare attenzione.
Il viaggio inizia e finisce insieme allo stesso tassista, Marco Patania, dimostrando che anche la nostra percezione dell’“altro”, come quella di Giovanni, deriva dal nostro stato d’animo. Alla fine sarà l’amore del protagonista per la donna interpretata da Maria Giulia Scarcella, a portare ad una svolta fondamentale. Perché c’è sempre una luce alla fine di un tunnel, non tutto è perduto: il cambiamento è ancora e sempre possibile. Si può trarre un insegnamento dall’esperi
enza dell’arte, del cinema: occorre andare oltre un primo livello interpretativo, andare in profondità e non lasciarsi condizionare dalle apparenze, liberarsi dai pregiudizi, avere il coraggio di sognare e apprezzare il “Bello” della vita.
Chiara Ferrara

FORSE... Sì, LO VOGLIO!
regia di Antonella GRASSIA


Gentilissimi giurati,

mi chiamo Antonella Grassia e sono la regista del film:
forse… Sì, lo Voglio! Candidato in tutte le categorie.

Non voglio rubarvi tempo prezioso, e non voglio tediarvi con tutte le problematiche che una giovane cineasta puo' aver incontrato nella realizzazione di questo film, chiedo solo qualche secondo per poter leggere queste poche righe, o in alternativa vedere il video messaggio che ho realizzato per voi a questo LINK ➡ vimeo.com

State tranquilli NON vi chiedo il voto né per me la mia regia né per la mia interpretazione, o altro.
Sono convinta che ci sono film molto più belli e interessanti del mio.

Però, vi chiedo il voto per una sola categoria, a cui sono particolarmente legata, ed è quella delle MUSICHE.

Le musiche sono state realizzate diversi anni fa da mio padre, il regista NINI’ GRASSIA, conosciuto anche per essere stato un compositore e da un altro musicista Aldo Tamburelli.
E’ uno degli ultimi lavori che ha realizzato prima di venire a mancare.
So, che sono giovane e dovrei chiedere il voto per me, ma non m’importa, spero, mi auguro di poter fare ancora tanta strada e realizzare tanti altri film. Se sono quello che sono lo devo grazie a lui e a quello che mi ha insegnato: umiltà e rispetto e perseveranza, prima di tutto e AMORE per questo mestiere.
Perciò, io spero che possiate dare la vostra preferenza per le musiche al mio film, che potrete vedere sulla piattaforma video e, notare voi stessi quanto siano ben incastrate nella trama.

Grazie infinitamente della vostra attenzione.

Antonella Grassia

P.s. Se, poi, vi fa piacere vedere la mia faccina, vi ricordo il link del videomessaggio. ➡ vimeo.com/

LA STOFFA DEI SOGNI
regia di Gianfranco CABIDDU


Attraverso le vicende di una modesta compagnia di teatranti che naufraga insieme a dei pericolosi camorristi sulle coste di un’isola-carcere in mezzo al mediterraneo, si dipana, per assonanze, il tema profondo della necessità dell’arte nella vita dell’uomo e viene alla luce il tema universale della colpa, della vendetta, del riscatto e del perdono.

Distribuzione MICROCINEMA
Regista Gianfranco CABIDDU
Sceneggiatura originale Gianfranco CABIDDU -- Ugo CHITI -- Salvatore DE MOLA
Produttore ISABELLA COCUZZA E ARTURO PAGLIA PER PACO CINEMATOGRAFICA
Attrice protagonista Alba Gaia BELLUGI
Attore protagonista Sergio RUBINI
Attrice non protagonista Teresa SAPONANGELO
Attore non protagonista Ennio FANTASTICHINI
Autore della fotografia Vincenzo CARPINETA
Musicista Franco PIERSANTI
Scenografo Livia BORGOGNONI
Costumista Beatrice GIANNINI -- Elisabetta ANTICO
Truccatore Silvia BELTRANI
Acconciatore Gerolama SALE
Montatore Alessio DOGLIONE
Suono Presa diretta Filippo PORCARI
Microfonista Federica RIPANI
Montaggio del suono Claudio SPINELLI
Creazione suoni Marco MARINELLI
Mix Alessandro CHECCACCI
Effetti digitali Gian Luca RIZZO -- Corrado RIZZO

Internazionale:
“ (…) spero che La stoffa dei sogni di Cabiddu
possa dare a tutti quello che ha dato a
me." (Piero Zardo)

Coming Soon.it:
“…quando capita di vedere un film come
questo ci si sente gratificati e sorpresi come
quando si riceve un regalo
inatteso.” (Daniela Catelli)

La Repubblica:
"Finalmente un film italiano di cui si può
andare orgogliosi.” (Roberto Nepoti)

Quotidiano Nazionale:
"Sogno e veglia, realtà e rappresentazione,
una complessa, colta e intrigante
combinazione di cinema e teatro.”(Silvio
Danese)

Il Messaggero:
“Uno dei film italiani più originali e sorprendenti
di questi anni" (Fabio Ferzetti)

MyMovies.it:
“…il perfetto candidato per un Oscar al
miglior film straniero.” (Paola Casella)

Il Mattino:
“Un film che riesce a dimostrarsi complesso,
coinvolgente e ricco di sfumature nient'affatto
scontate." (Valerio Caprara)

Il Sole 24 ORE:
“…Tra vecchi legni trasformati in palcoscenico, nella
leggerezza di poveri stracci che diventano sipario e
quinte, mare e cielo, i commedianti vincono la
tragedia. Tutti sono altro, più leggeri, più felici, per
paradosso anche più veri. (…) Un mondo nuovo ora si
intesse della materia di cui son fatti i sogni, i più forti e
i più fragili, quelli che si sognano nella finzione a occhi
aperti.” (Roberto Escobar)

Il Fatto Quotidiano:
“…un funambolico triangolo di sapori, odori e
suggestioni, ma anche un triplice salto mortale fatto di
sapienza e poesia, di bravura attoriale e sensibilità
umana." (Anna Maria Pasetti)

Il Giornale:
“…Cabiddu ha saputo ben fondere 'La tempesta' e
due testi di De Filippo (...). Perfetti il capocomico
Sergio Rubini e il direttore della prigione Ennio
Fantastichini." (Massimo Bertarelli)

Il Manifesto:
“…La stoffa dei sogni è un'opera fuoriclasse che le
sue corrispondenze le fa affiorare nelle passioni del
regista e non nelle mode o nei format di mercato, il
teatro, i suoi «maestri», ma anche (forse soprattutto)
l'immediatezza di un'improvvisazione che nasce da un
lavoro lungo, attento, dalla ricerca e da idee non
scontate.”(Cristina Piccino)


USTICA di Renzo Martinelli
effetti digitali: CANECANE - Mikros - Inlusion


USTICA: La sera di venerdì 27 giugno 1980 un aereo di linea Douglas DC-9-15 della compagnia aerea italiana Itavia, decollato dall'Aeroporto di Bologna e diretto all'Aeroporto di Palermo, si squarciò in volo all'improvviso e cadde nel braccio di mare compreso tra le isole tirreniche di Ustica e Ponza, chiamata posizione Condor. Nell'evento persero la vita tutti gli 81 occupanti dell'aereo.
Molti aspetti di questo disastro, a partire dalle cause stesse, non sono ancora stati chiariti.
Il film di Renzo Martinelli "USTICA" offre degli importanti spunti di riflessione e nuove ipotesi su questa tragedia.
Con la supervisione agli effetti di Giuseppe Squillaci, CANECANE VFX ha realizzato oltre 300 inquadrature in computer grafica, portando sullo schermo la ricostruzione della presunta battaglia aerea combattuta intorno all'aereo di linea, poi precipitato in mare. Il nostro lungo lavoro è stato supportato dalla consulenza di ingegneri aeronautici e piloti di caccia, per la ricostruzione della dinamica degli inseguimenti e del volo degli aerei, delle traiettorie e delle tattiche di ingaggio.
Tutti gli arei sono stati ricostruiti in computer grafica, così come gran parte dei fondali delle scene di volo.
Hanno collaborato alla realizzazione di alcune sequenze del film Mikros (Lieges, BG) e Inlusion vfx (Roma), che si è occupata dei circa 350 effetti visivi di supporto.


Il video esplicativo degli effetti digitali è già su youtube e vimeo:
youtube.com
vimeo.com

HYBRISTES
cortometraggio, regia di Marcello Quartieri


"Come regista ed autore del cortometraggio Hybristes vorrei lasciare poche righe per descrivere cosa rappresenta per me questo progetto. La parola greca “hybristes” significa colui che ha commesso un atto di “hybris”, cioè ha sfidato gli déi (o socialmente i “poteri forti”) perché sicuro delle proprie capacità. Nella tragedia, l'hybris può ripercuotersi non solo sul “colpevole” originario ma anche sui suoi discendenti innescando così una situazione che si prolunga nel tempo. La locuzione “cogito ergo sum” di Cartesio afferma “penso dunque sono” dando una certezza del proprio essere ed è per questo che ho voluto fondere questi due stati filosofici-sociali per dare rilevanza al contrasto tra di essi.
Nel cortometraggio ho cercato di unire un malessere sociale che fa rinchiudere in se stessi chi non si sente accettato dalla società con delle scoperte tangibili riscontrate da me in alcuni dipinti di Raffaello Sanzio. Un piccolo viaggio tra situazioni oniriche e reali che cerca di esser costituito a strati sempre più profondi, esattamente come il nostro “essere” e come le opere d'arte prese in esame."
Marcello Quartieri

OMBRE DELLA SERA
documentario, regia di Valentina Esposito


Ombre della Sera è l’opera prima di Valentina Esposito, regista teatrale impegnata dal 2004 nella direzione di una compagnia di detenuti attori all’interno del Carcere di Rebibbia N.C. a Roma. Interpretato da 5 detenuti in misura alternativa, trae ispirazione dalla biografia degli interpreti per raccontare quattro storie di solitudine, storie di padri che dopo anni di lontananza tornano a casa nel disperato tentativo di ricostruire una relazione con i figli lasciati. Il film gode dell’amichevole partecipazione dell’artista Pippo Delbono, unico attore professionista in un lavoro che ha coinvolto le famiglie reali dei protagonisti e svela allo spettatore l’aspetto più intimo e delicato del percorso di reinserimento degli ex detenuti
Ombre della sera si muove con discrezione tra la verità e la ricostruzione cinematografica per raccontare la condizione emotiva di chi è condannato per sempre a vivere tra la vita dentro e quella fuori dal carcere, tra le ombre del passato e il bisogno disperato di ritrovarsi nel presente. Su tutti grava il peso di una condanna eterna, la consapevolezza della sofferenza inflitta ai propri cari, un senso di colpa nei confronti dei figli che nessuna pena, per quanto lunga, sarà mai in grado di espiare.
Valentina Esposito



BAFICI 2016 – Buenos Aires – Menzione Speciale della Giuria -

Prisma 2016 - Rassegna del Cinema Italiano presso Unibes Cultural a Sao Paulo - Brasile

RIFF 2016 Rome Independent Film Festival – Selezione Ufficiale

Cairo International Women Film Festival 2017 - Selezione Ufficiale

Link Film: vimeo.com

LA VERITA’ STA IN CIELO
regia di Roberto Faenza


Gentili Giurati,
Siamo lieti di segnalare alla vostra attenzione la candidatura
al David di Donatello del film
LA VERITA’ STA IN CIELO diretto da Roberto Faenza
con Riccardo Scamarcio, Maya Sansa,
Greta Scarano, Shel Shapiro
e Valentina Lodovini
prodotto da Elda Ferri per
Jean Vigo Italia e Rai Cinema


Sinossi
Il 22 giugno 1983 una ragazza di 15 anni, Emanuela Orlandi, sparisce dal centro di Roma e non farà più ritorno. E’ figlia di un commesso pontificio e ben presto si capisce che la sparizione coinvolge diversi poteri forti, dal Vaticano alla banda dei Testaccini, fino a Mafia Capitale. La sua scomparsa è l’occasione per raccontare la piramide omertosa che da quel momento metterà in ginocchio la capitale. Una vicenda con scabrose ramificazioni ancora attuali in un tessuto tipicamente italiano che coinvolge politica, criminalità organizzata e una parte malata della Chiesa, oggi criticata dallo stesso Papa Francesco. È da 30 anni che questa storia attende di essere raccontata. Realizzato con la collaborazione della famiglia Orlandi, il film contiene una inedita sequenza finale, di particolare importanza, nella quale viene indicato l’ultimo metro da percorrere per arrivare finalmente alla verità.

Il 24 marzo 2017 l’ONU, in occasione della Giornata Internazionale del Diritto alla Verità, patrocinerà una proiezione speciale del film per sollecitare la riapertura del caso. A partire da tale proiezione la famiglia Orlandi, insieme alla produzione, inizierà a raccogliere le firme per una petizione popolare, ritenendo che le indagini siano state archiviate forse troppo frettolosamente dalla magistratura italiana. Particolarmente gradite saranno le firme dei membri della Giuria.

Per vedere il Trailer: https://www.youtube.com

I Giurati che non hanno potuto partecipare alla proiezione del film potranno visionarlo in streaming sulla piattaforma a loro riservata attraverso il seguente link:http://video.daviddidonatello.it/auth/login

Hanno scritto:
Una verità esiste senz’altro. Sicuramente occultata da chi temeva e teme scoperte scomode”. Gian Antonio Stella, Corriere della Sera, 16 settembre 2016

Film di verità e pugni nello stomaco. Merita la riapertura del caso”. Gian Luigi Nuzzi , GQ, ottobre 2016

Roberto Faenza ha scritto e diretto il film con l’istinto dell’artista, ma anche con l’ossessione di indagatore,alla stessa maniera di Francesco Rosi”. Furio Colombo, Il Fatto Quotidiano, 5 ottobre 2016

"Le emozioni di sicuro non mancano, dalla prima all’ultima scena”. Massimo Luglio, la Repubblica, 30 settembre 2016

Il grido che si alza forte e chiaro alla fine del nuovo film di Roberto Faenza è riaprite il caso”. Fulvia Caprara, La Stampa, 30 settembre 2016

Faenza riprende in mano il cold case e con l’aiuto di una cast d’eccellenza rimette insieme i pezzi del puzzle”. Gloria Satta, Il Messaggero, 29 settembre 2016

Faenza: non si metta la parola fine”. Lucio Pellegrini, Avvenire, 30 settembre 2016

Il grido di speranza di Pietro Orlandi: la scena finale è un fatto reale, non una supposizione. Lì c’è la verità”. Paolo Calcagno, L’Unità, 30 settembre 2016

 

60 IERI OGGI DOMANI
regia di Giorgio TREVES


Il racconto emozionante della storia dei David di Donatello
il più importante premio del cinema italiano.
60 anni del nostro cinema, della nostra storia, del nostro immaginario.
E un omaggio cinematografico al Presidente Gian Luigi Rondi

una produzione JEAN VIGO ITALIA e ISTITUTO LUCE CINECITTÀ
realizzata da MAURO CALEVI  - prodotta da ELDA FERRI

FILM RICONOSCIUTO D’INTERESSE CULTURALE DAL MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO – DIREZIONE GENERALE CINEMA
Con la partecipazione della
ACCADEMIA DEL CINEMA ITALIANO - PREMI DAVID DI DONATELLO

Nel momento in cui Roma viene dichiarata  «Città Creativa del Cinema » dall’UNESCO, il Premio David di Donatello festeggia i 60 anni di vita. Equivalente italiano del premio Oscar americano, del César francese, del Bafta inglese, del Goya spagnolo, il David di Donatello è l’osservatorio privilegiato per ripercorrere la storia del Cinema Italiano dal dopo-guerra ai nostri giorni.

Attraverso i ricordi di Gian Luigi Rondi, Presidente a vita del premio, e una ricca serie di testimonianze, si rivivranno le premiazioni leggendarie al Teatro Greco di Taormina, appuntamento immancabile per i più famosi attori e registi di tutto il mondo, le emozioni dei candidati, la gioia dei premiati, la presentazione degli artisti ai Presidenti della Repubblica Italiana. Ricordi, aneddoti e riflessioni dei protagonisti italiani e stranieri, che scandiranno il passaggio dal Neorealismo alla Commedia all’italiana, dal cinema civile a quello d’autore, al rinnovamento dei nostri attori e registi di maggior successo e rinomanza. Gina Lollobrigida, i fratelli Taviani, Montaldo, lasceranno la parola e il passo ai più giovani Moretti, Tornatore, Garrone, Archibugi, senza dimenticare i tecnici che hanno portato nel mondo la nostra creatività da Storaro a Ferretti, da Morricone alla Pescuccie che pur se insigniti dell’Oscar considerano il premio David di Donatello come quello a loro più caro.

Testimonianze che si incrociano e alternano a preziose immagini di repertorio e a scene di film ormai entrati nell’immaginario collettivo – da La Notte di San Lorenzo a Sedotta e Abbandonata, dalla Dolce vitaa Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, da Caro Diario a Uccellacci e uccellini, da Gomorra a Lo chiamavano Jeeg Robot. Una carrellata incalzante e affascinante attraverso il nostro cinema e i grandi del passato da De Sica a Visconti, a Rosi, a Antonioni, alla Loren, a Leone, a Monicelli, a Manfredi, Gasmann, la Cardinale, la Vitti, sino ai divi più recenti come Bellocchio, Castellitto, Buy, Bruni Tedeschi, Golino, Sorrentino, Amelio, Bertolucci, Virzì e alle leve del più recente rinnovamento come Mainetti, Genovese, Munzi, Costanzo, Rorhwacher, Favino, Germano, Cortellesi, Ramazzotti.

60 anni possono sembrare tanti, ma il Cinema Italiano è sempre giovane e capace di rinnovarsi e imporsi. E il premio David di Donatello ogni anno è il suggello di questa vitalità.

Vimeo Versione  Originale Italiana: https://vimeo.com/191453941
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NEL PAESE DEI COPPOLONI
documentario, regia di Stefano Obino


Nota di Vinicio Capossela

Questo film è un ponte, un’opera a sé, tra le pagine de “Il paese dei coppoloni” e le musiche delle “Canzoni della Cupa”, disco-giacimento uscito a marzo. Entrambi i lavori hanno avuto gestazioni che hanno superato il decennio (per la vastità, la profondità e la mancanza di limite della materia). A cavallo delle due si è andata formando quest’opera, nata inizialmente per fornire qualche indicazione in più al lettore avventuratosi per i sentieri delle pagine del libro. La macchina da presa però parla un linguaggio diverso, pratica uno sguardo in cui possono entrare in campo paesaggi ed espressioni della terra, che è il vero basso continuo di tutto. Una terra selvatica ancestrale, incurante, abituata a scrollarsi di dosso l’uomo e le sue opere effimere, l’uomo che la va molestando di continuo per estrarle dal seno qualche bene, e che esaurito il beneficio la lascia in abbandono. Una terra capace sempre di imprimere la lastra in maniera decisa. I suoi cieli separati dalla terra, sempre in movimento, i suoi scuotimenti di vento, e dove non basta, le facce di quella terra, la lingua di quella terra.  E naturalmente la musica... la musica che affiora da quella terra. Non c’è niente di unico. Tutto il nostro paese corre sul filo di queste voci. Si tratta di fermarsi ad ascoltarle, dare loro il tempo, per presentire il gigantesco che si nasconde dietro al minuscolo. La macchina da presa e il microfono si sono dunque un poco spostati d’obiettivo per andarne a cogliere il suono. “I canti sempre percorrono la terra e cambiano pelle e lingua, ma non il moto d’anima che li ha generati”, dice il Cantore Errante. Di essi rimane soprattutto la storia che vanno cantando. E’ così dai tempi più antichi. Queste storie ho cercato di rendere in forma di canzone. Estrarre la storia di Dagarola del Carpato per esempio, dal corpo del canto a sonetto, il canto che si pratica in Cumversazione. Raccoglierla dalle labbra di una signora anziana, sentirla farsi strada a fatica tra gli inganni della memoria e cercare di transumarla alla lingua corrente e cantata. O un plotone di maschi che canta virilmente “la padrona mia”.  Lungo queste connessioni e risonanze ho cercato di portare il regista Stefano Obino e la sua attenta troupe, costretti a muoversi nello stretto sentiero che sta tra l’ingombro di un artista e le possibili aspettative del suo pubblico, e le voci e i volti della terra in sé.  Quello che ne esce non è il film de "Il paese dei coppoloni", e non è nemmeno un documentario etnoantropologico sulla musica della terra, e neanche un film documentario sull’Irpinia, attuale o passata che sia. E’ un lavoro in forma di documentazione visiva, sul tentativo effettuato da un cercatore (che usa due linguaggi, quello della scrittura e quello della canzone) di rielaborare in un immaginario mitico una terra di appartenenza, una terra attraversata da viandante, non da residente, affinché le domande “chi siete? a chi appartenete? cosa andate cercando?“ possano risuonare urgenti come proprie, nelle orecchie di chiunque abbia deciso di seguirlo sullo stesso cammino.

Note del regista Stefano Obino

“il film è un viaggio reale nell'assurdo, documentazione di posti e luoghi che, una volta lasciati, stenti a credere di aver attraversato e conosciuto.

E' stato come vagare dentro le pagine del libro o camminare sui pentagrammi delle nuove canzoni di Capossela. Canzoni che nascevano, risorgevano e crescevano più velocemente di quanto potessimo essere rapidi noi nel catturarle.

Seguendo Vinicio, attraverso le valli del Paese dei Coppoloni o nei vicoli del Paese dell'Eco, puoi davvero capitare alla Barberia di Sicuranza mentre Testadiuccello intona "Taresuccia" oppure, poco lontano, nella piazza di Andretta, non sarà poi così assurdo e anomalo sentire la possente voce in tecnicolor di Ciccillo intonare "Vierno" a pieni polmoni.

Ma il film è pregno anche di quanto l'obiettivo non ha registrato, sazio di pranzi luculliani a base di “cannazze e vraciole”. Quando, tra una ripresa e l'altra, è più facile ritrovarsi nella cucina di una numerosa famiglia irpina, accogliente ben oltre il consentito dalle umane digestioni, che trovare un ristorante aperto, negli orari imprevisti di chi insegue le immagini del surreale.
Magari si è appena finito di combattere un vento che sibila a 100 all'ora, in una cava abbandonata, dove i fratelli Fiordellisi, impagabili tuttofare calitrani, hanno appena parcheggiato una trebbiatrice volante, e il sospetto che davvero questa possa volare non è poi così vago.
Oppure seguire la signora Maria Cuneconda tra i sentieri bui delle valli perché solo lei sa la giusta strada per giungere al bosco cercato invano per ore. E che a quel punto non può esimersi dal divenire personaggio del documentario. In cambio chiede una sola cosa: poterti offrire una cena di inestimabile semplicità e per questo rigeneratrice di forze come nient'altro potrebbe esserlo.

E ancora frasi, trovate sulla via, che entrano nel racconto filmico, quasi per caso, ma mai a sproposito, sentite dire da chissà chi altrove e che calzano talmente alla perfezione nella scena che a pensarle mai si sarebbero trovate. "Al Padre Eterno le cose inutili sono sempre venute bene!" non può restare fuori dal racconto, così come le musiche nate e quelle risorte, tra le fascine portate a dorso di mulo o tra gli alberi, al suono di un piccolo pianoforte rosso, o ancora suonate da bande che vagano per vicoli vuoti.

Chi eravamo, cosa volevamo, cosa andavamo cercando, forse non lo abbiamo ben capito.
Ma navigare questo mare, alla ricerca dell'inutile, è stata esperienza indimenticabile”.

GROTTO
regista esordiente Micol PALLUCCA


Gentilissi Giurati,
vi chiedo due minuti del vostro prezioso tempo per porre la vostra attenzione sul film GROTTO.

Questo è il link per vedere il film sul sito del DAVID DI DONATELLO
http://video.daviddidonatello.it/film/8098

GROTTO è uscito in sala il 21 aprile 2016 dopo aver avuto la sua anteprima al Festival di GIFFONI a luglio 2015 dove ha vinto il GRYPHON AWARDS nella categoria 6+

E' un film che nasce dalla volontà di intercettare il pubblico dei bambini, appannaggio quasi esclusivamente della grandi produzioni americane. Debbo dire che l'entusiasmo riscontrato dai bambini, nonchè giurati, al GIFFONI EXPERIENCE che hanno decretato la vittoria del film mi indica che si è sulla strada giusta, anche se solo all'inizio. Dico questo perchè lo stesso entusiasmo lo sto riscontrando nei matinèe per le scuole dove GROTTO continua ad essere proiettato.

La vostra considerazione sarebbe quindi molto importante per questo film indipendente, che cerca di farsi notare tra le grandi produzioni straniere, ed avere la massima visibilità diventa fondamentale.

Il film concorre in differenti categorie tra le quali OPERA PRIMA.

Mi preme sottolineare, non me ne vogliano gli altri, in particolare:
· il lavoro del DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA, MAXIME ALEXANDRE, che, in un ambiente bellissimo ma ostico come le Grotte di Frasassi è riuscito a rendere il film, al tempo stesso, poetico e realistico nonostante il grande sforzo di girare in STEREOSCOPIA;
· il magnifico lavoro per quanto riguarda gli EFFETTI SPECIALI dei ragazzi di CHROMATICA che hanno creato un personaggio che conquista il cuore di tutti i bambini che hanno visto il film, rendendolo ancora più vero nella versione 3D;
· il MONTAGGIO di CONSUELO CATUCCI, che è riuscita ad immaginare quanto ancora non era totalmente visibile, considerando che uno dei protagonisti del film, GROTTO, per l'appunto, è arrivato solo in postproduzione;
· per finire, mi piacerebbe che prendeste in considerazione la splendida MUSICA di FRANCESCO CERASI, che ha creato una varietà di temi suggestivi ed emozionanti riuscendo a seguire e a rafforzare in modo impeccabile le dinamiche narrative del film.

Ecco le motivazioni per le quali vi pregherei di prendere in considerazione questi grandi professionisti. Mi spiacerebbe molto, infatti, che il loro splendido lavoro non venisse notato a causa del fatto che la mia società sia alla sua prima esperienza cinematografica e di conseguenza poco conosciuta.

Ringraziandovi per il vostro tempo e per la vostra attenzione, vi porgo i miei più umili e sinceri saluti,

Micol Pallucca

SASSI NELLO STAGNO
documentario, regia di Luca Gorreri.

Quando il clima culturale appare stagnante, quando risulta faticoso per il pubblico cinefilo vedere film che si discostano dai pochi generi e stili che prevalgono nelle sale cinematografiche, un festival e un documentario possono creare una perturbazione in questa situazione. Per quanto le onde sull'acqua tenderanno a smorzarsi, il dibattito avrà provocato riflessioni che potranno causare altre onde.
Da un'idea di Giuseppe Bertolucci, dal fermento culturale del Filmstudio di Roma, alle prime due edizioni degli Incontri cinematografici di Monticelli Terme (1977 e 1978), attraverso i quattro anni degli Incontri cinematografici di Salsomaggiore Terme (1980-1983), fino al Salso Film e TV Festival (dal 1984 al 1989) ed alle ultime due edizioni (Emilia Romagna terra di cineasti e Cinema Art Festival), il documentario narra la storia di un festival dimenticato.
Dalla voce dei protagonisti, il racconto della programmazione delle varie edizioni del Festival delinea il carattere intensamente originale dell'evento.
Con ironia e autoironia ricorrenti nel film, attraverso immagini e video di repertorio, documenti, interviste ai maggiori protagonisti come Adriano Aprà, Enrico Ghezzi, Patrizia Pistagnesi, Luciano Recchia, Christa Lang e Samantha Fuller e omaggi a Marco Melani, mostro la genesi e lo sviluppo di questo importante festival cinematografico, fino alla sua chiusura nel 1991, mettendo in evidenza alcune delle cause della chiusura del Salso Film e TV Festival, proponendo anche una riflessione sul ruolo culturale dei festival in generale.

Sassi nello stagno. Perchè Sassi nello stagno? Un titolo difficile per un documentario che non tratta di una gara di lancio di pietre, ma il Festival di Salsomaggiore fu davvero un sasso nello stagno. Una grande pietra miliare che scosse le acque placide e oscure dei festival e della città termale che lo ha ospitato.
Il secondo sasso vuole essere questo documentario. Un secondo sasso, a 25 anni di distanza dal primo, che vuole smuovere le acque torbide dell'oblio in cui sono caduti questo innovativo Festival e lo spirito di Salsomaggiore, spirito di un'epoca che difficilmente tornerà.
Lo stile di questo documentario, oltre alle classiche interviste dovute, in quanto lo scopo del documentario è quello di ripercorrere la storia e la genesi del festival, vuole essere un po' "Fuori Orario" (trasmissione di RAI 3), un po' Monte Hellman, un po' Jean-Luc Godard.
Accostamenti a prima vista senza senso o senza legami ma con un filo conduttore profondo (in)visibile.
Fuori Orario per l'accostamento delle immagini con denominatori comuni sullo sfondo, nella matrice, nelle origini dell'immagine stessa.
Da Monte Hellman, soprattutto dal suo "Road to nowhere", quell'idea di film nel film, realtà nel film e film nella realtà. Da Jean-Luc Godard e il suo "Scenario du film Passion" (proiettato a Salsomaggiore insieme al film Passion e il video Troisieme etat du film Passion) per l'autore e il film nel film.
Dal Festival stesso, festival “Frankenstein”, promotore di accostamenti originali e mai proposti prima, il vecchio e il nuovo, il passato e il futuro, laboratorio e non solo vetrina o passerella.
Omaggi, riferimenti, citazioni. Scene girate per ricordare i Grandi “ospiti”, fisici e metafisici del festival e grandi maestri del cinema: Fuller, Antonioni, Godard.

[…] sono le parole a rappresentare il cuore pulsante di un documentario che dimostra come un tradizionalismo formale composto dall’alternarsi di interviste, immagini di repertorio e inserti girati ad hoc, possa approdare a vertici di messaggio pressoché inusitati, se rapportati al presente. Perché alla fine Sassi nello stagno, oltre a rappresentare un atto d’amore per un cinema che non esiste più, assume l’importanza di un gesto di ribellione verso l’omologazione imperante, la stessa che pretenderebbe l’ignoranza – non solamente cinematografica – come sempre accade via maestra per esercitare un potere privo di opposizione. […]
Daniele De Angelis – Cineclandestino- 21/01/17
http://www.cineclandestino.it/sassi-nello-stagno/

[…] Gorreri racconta tutto questo mischiando stili e toni espressivi, rappresentazione classica e scomposizione dell’immagine (in onore della videoart, a cui il Festival, ancora una volta in anticipo sui tempi, dedicò molta attenzione), fino a tentare delle mimesi stilistiche per citare filmcult presentati a Salsomaggiore, come White Dog (1982), uno degli ultimi film di Fuller, o Blood Simple (1984), l’opera prima dei fratelli Coen, ancora sconosciuti. […]
Piero Spila – CineCriticaWeb – 25/01/17
http://www.cinecriticaweb.it/panoramiche/sassi-nello-stagno-un-documentario-di-luca-gorreri

[...]Forse non tutti conoscono il Festival del Cinema di Salsomaggiore, sicuramente non tutti conoscono un certo cinema italiano indipendente. Credo che un film come Sassi nello stagno con l’argomento trattato e le premesse da cui muove il progetto si commenta da solo. Spesso ci si accanisce contro i festival del cinema, o col cinema indipendente, o col cinema in generale senza conoscere a fondo le ragioni che lo animano. Il film di Luca Gorreri sembrerebbe essere una risposta.[...]
Claudio Rugiero – L'Atalante – 16/12/16
http://www.atalantecinema.it/attualita/sassi-nello-stagno/

[…] Eppure, nel rispondere puntualmente ai vari interrogativi che (si e ci) pone, Luca Gorreri rifiuta strenuamente le forme classiche e televisive così come il Festival di Salsomaggiore rifiutò fino alla fine di cedere alle sirene dei volti più noti che avrebbero potuto rendere l’evento più commercializzabile. Le forme di Sassi nello stagno, al contrario, sono assolutamente cinematografiche, pronte a citare la poetica degli autori che a Salsomaggiore hanno trovato le meritate passerelle, a partire da Godard fino a Derek Jarman, con un gusto per una sperimentazione visiva e nel montaggio che non ha paura di affrontare diversi linguaggi, fra incroci audio-video, contrapposizioni, dissolvenze, passaggi in bianco e nero, viraggi nella gamma cromatica, voci narranti fuori campo e incursioni nella finzione, dal vhs al rap.[...]

Quello di Luca Gorreri è un esordio estremamente interessante e per molti versi sorprendente, al contempo puntuale e ironico, a tratti acido e pop, coraggioso in forme capaci di coniugare il videoclip con le associazioni godardiane e le giustapposizioni di Straub, acuto nella sostanza cinefila e umana, fino al suo apice che deflagra nel ricordo accorato di Marco Melani, della sua contagiosa passione, delle sue idee rivoluzionarie, della sua figura saggia e dirompente, sempre rispettosa del lavoro altrui ed entusiasta nel proprio.[...]
Marco Romagna – CineLapsus – 02/01/17
http://www.cinelapsus.com/sassi-nello-stagno-2016-di-luca-gorreri/

Buona visione!

official trailer https://vimeo.com/187800146
sito web: www.sassinellostagnodoc.com